lunedì 30 novembre 2015

BUEN RETIRO IN RIVIERA


E’ il classico grande albergo Belle Epoque rosa, con le cupole, circondato da un parco con palme e un immenso cancello d’ingresso. Anche il nome Grand Hotel Bristol richiama le vacanze al mare o le mete per svernare di nobili e ricchi signori. Si trova a Rapallo in quel tratto di Aurelia, non contaminato dalla rapallizzazione, che dalla cittadina porta a Zoagli. Ha insomma tutto quel che affascina della tradizione, ben integrato da un plus innovativo. A cominciare dalla piscina di dimensioni olimpioniche immersa nel verde, che sembra avere una continuità con il mare. Dotata di un ristorante per deliziosi spuntini pieds dans l’eau. Per continuare con la Spa che, oltre a sauna, palestra, area wellness, cabine con trattamenti vari, propone il massaggio al ghiaccio  toccasana per il corpo e il Lacto flora peel per rinnovare le cellule, con risultati strabilianti, pare, già alla prima seduta. E poi, vero fiore all’occhiello, il ristorante Le cupole, all’ultimo piano, proprio fra le due cupole. Con arredamento attuale, in contrasto-accordo con la struttura primi Novecento, vetrate e terrazzo con vista a 360 gradi sul Golfo Tigullio, in faccia a Portofino. Qui lo chef Graziano Duca, giovane ma con un notevole curriculum, prepara le sue inedite leccornie. Curioso e audace prende i sapori e gli ingredienti della cucina ligure e li rielabora con cotture particolari, grazie ad attrezzature supertecnologiche, invertendo spesso l’ordine dei fattori. Come per i Pansoti “a reversa” dove le noci per il sugo sono invece nella pasta, mentre il condimento è una vellutata di preboggion (insieme di erbette) usato di solito per il ripieno. Di livello e in sintonia anche la scelta della cantina. Non a caso l’albergo registra tra gli ospiti una maggioranza di francesi e il grande Alain Ducasse ha decretato Le cupole tra i migliori sette ristoranti d’Italia. A completare l’impronta contemporanea un’esperta barman che nell’elegante bar Le Vie della Seta crea cocktail-sorpresa. 

domenica 29 novembre 2015

UBU RE ALLA VENETA


Quando si vede uno spettacolo come La cativìssima (con una sola T)- Epopea di Toni Sartana, viene di pensare a quanto si sono divertiti gli attori nelle prove. Certo dietro c'è un enorme lavoro, perché tutto è perfetto. Ma è anche vero che non ci può essere quel ritmo incalzante, quella freschezza, quel continuo di comicità che tiene incollati alla poltrona, se non c'è una forte sinergia tra chi sta sul palcoscenico. In scena dal 26 novembre al 6 dicembre al Teatro Menotti di Milano, La cativìssima, prodotta dal Teatro Stabile del Veneto, racconta l'ascesa al potere di un assessore regionale veneto, appunto Toni Sartana. La regia è di Natalino Balasso che ne è anche interprete nella parte di Sartana. Con lui i bravissimi Francesca Botti, Marta Dalla Via, Andrea Pennacchi, Silvia Piovan, Stefano Scandaletti che si destreggiano in vari ruoli,  davvero irriconoscibili e con una velocità alla Fregoli. Tutti gli elementi della satira ci sono, compresi qualche luogo comune,ma abilmente lavorato, innumerevoli colpi di scena e situazioni assolutamente inedite. L'arrembaggio e la corsa al potere di personaggi di bassissimo livello, desiderosi solo di schei, per quanto portata all'esasperazione, prende molto dalla realtà. Anche non limitandosi agli aspetti più clamorosi ed evidenti. Ma toccando risvolti meno ovvii, che denotano una grande capacità critica dell'autore. Semplice, ma funzionale per creare le varie situazioni, la scenografia, fatta da container e casse che diventano di volta in volta strada, tinello piccolo borghese, salone alto borghese e perfino spalti di un'aula giudiziaria.Più di due ore di spettacolo, che scorrono velocissime, in cui si ride, ci si diverte, si pensa, anche se non c'è nessuna volontà ambiziosa di dare messaggi. Da vedere.
Info: www.teatrostabileveneto.it











venerdì 27 novembre 2015

INGRID E LE VIOLA COLLINE D'ASOLO


E’ la persona più adatta a scrivere un libro su un personaggio,   specie se si tratta di una star come Ingrid Bergman, di cui  continuano le celebrazioni per il centenario della nascita. Luciana Boccardi , giornalista e scrittrice veneziana, non ha mai amato 

la corsa al vip.  Non è sensibile alle celebrità, le piacciono le persone. Ed è stata un’occasione quella che l’ha messa in contatto con l’attrice svedese, e lo scrive in Con Ingrid tra colline viola (Ed. Supernova). Un titolo che può sembrare a effetto solo a chi non conosce Boccardi. In realtà annuncia un approccio giornalistico al contenuto, che è un racconto di cronaca, come spiega l’autrice.  Le colline viola sono quelle intorno ad Asolo, definizione che pare risalga a una frase di Henry James in una lettera all’amata Mrs. Gardner :“Sono stato trattenuto ad Asolo da quel panorama viola”. E anche Boccardi è stata trattenuta nella cittadina del trevigiano nel 1977 per intrattenere Ingrid Bergman, arrivata per un disguido un giorno prima di quello stabilito per l’assegnazione del Premio Duse.  Un incontro  che ha saputo tenere segreto e che le ha permesso di conoscere la donna Ingrid. Da quel pomeriggio inizia una biografia molto particolare dell’attrice. Dall’infanzia in Svezia agli inizi della carriera, al matrimonio, fino agli anni  di Hollywood.  Prosegue con la storia d’amore con Rossellini di cui simpaticamente la scrittrice coglie gli aspetti geniali ma anche le debolezze un po’ goffe da maschio italiano. Finisce con il ritorno di Ingrid al cinema internazionale e con la sua morte prematura nel 1982. C’è poi un capitolo con le testimonianze dei personaggi del cinema, della cultura e dell’arte raccolte dal 1983 al 2015. A cui seguono in un altro capitolo quelle dei couturier che l’anno vestita, ma anche degli attuali stilisti che riconoscono quella sua eleganza naturale così lontana dal mondo del fashion. Nell’ultima parte alcune firme del giornalismo di moda cercano di dare un colore a Ingrid. Primo esce il bianco, forse per il legame con il nord. Il viola-Asolo resta nella copertina e nella borsa  V° 73 (V sta per Venezia e 73 l’anno di nascita della stilista trevigiana Elisabetta Armellin). Dedicata a Ingrid, è realizzata con il velluto dell’Archivio Rubelli, usato per la stola dei procuratori della Repubblica di Venezia. Dopo la presentazione a Milano il libro sarà fra gli ospiti d’onore di un tributo all’attrice a Palazzo Ducale di Venezia, il 3 dicembre. 

mercoledì 25 novembre 2015

C'ERA UNA VOLTA


Una poltrona imponente nel mezzo di un giardino e a far da quinta un quartetto d’archi. Donne che leggono in un grande prato, i testi illuminati da una piccola lampada con solo una candela ai loro piedi. Sono alcune immagini della seconda edizione. La terza, visto il successo, avrà più interventi, più artisti, più favole… Sì, favole perché si sta parlando del Festival della Fiaba di Modena, la cui terza volta sarà in giugno. Non ci vogliono studi di psicologia per rendersi conto che le favole sono molto di più di racconti per bambini. Secondo Nicoletta Giberti, ideatrice e direttore artistico della manifestazione, mettono in scena l’identificazione del sé. “Il cavaliere che sconfigge il drago 
                                   non salva la principessa, ma salva se stesso” spiega. “Bisogna far luce sui tanti luoghi oscuri che la fiaba racchiude” ribadisce Michele Collina, docente di lettere e uno dei relatori. Per questo ogni giornata si aprirà con una conferenza in cui dal linguaggio semplice e lineare delle fiabe si trarrà ogni volta qualche elemento complesso e si indagherà su questo. E tutto   in  forma interattiva, senza uno stacco dal pubblico. Tema specifico di questa edizione la relazione della fiaba con il tempo. Come cioè la favola si componga di passato, presente e futuro, attraversi indifferentemente il mondo dei vivi e dei morti, e sia un altrove di cui C’era una volta è la porta d’entrata. Perfettamente coerente è la sede scelta, Villa Sorra, una delle più scenografiche ville del modenese utilizzata da Pasolini per Salò o le 120 giornate di Sodoma. La serra,  allestita con un palco e un’area espositiva, sarà un ideale secret garden per mostre, video proiezioni, spettacoli, installazioni, concerti, gli incontri d’apertura e naturalmente le fiabe.  Anche queste, come tutto quello che verrà presentato qui, saranno inedite e prodotte ad hoc. A chiusura  verrà inaugurato, in un ex capannone industriale  vicino al centro storico, il Filatoio, laboratorio permanente del Festival. Progettato da un architetto e realizzato interamente a mano da un artigiano e macchinista teatrale  ospiterà una cucina,  una caffetteria, un salotto con libreria, dove leggere non solo fiabe, e un palco per concerti e performance.  



martedì 24 novembre 2015

ALTRO CHE PAROLE


 Sandalo Spike di Max Kibardin
 Abito Nudress di Gentucca Bini
 Abito Bruco di Moi Multiple

Niente A come Armani, B come balza, o S come spolverino.  Nel Nuovo Vocabolario della Moda italiana non si trovano le spiegazioni e i sinonimi di parole o le biografie di personaggi. Perché è una mostra. Inaugurata ieri alla Triennale di Milano prosegue fino al 6 marzo. Racconta  in tutti i suoi aspetti, con   personaggi e interpreti, la moda italiana dal 1998 a oggi. Dalla diffusione di Google che segna l’inizio dell’era digitale all’anno in corso, passando per la crisi mondiale del 2008 che ha coinvolto tutti e ha spinto al rinnovamento. L’esposizione, curata da Paola Bertola e Vittorio Linfante, si articola in tre sezioni. Narrazioni è dedicata a ciò che ruota intorno alla moda, dall’illustrazione e la fotografia ai nuovi media, dall’editoria specializzata alla video arte. Biografie, com’è intuibile, traccia la storia di stilisti e marchi che in questi vent’anni hanno recuperato le tradizioni, riscrivendole con la tecnologia e i linguaggi contemporanei. E poi il vero e proprio Vocabolario, cioè un percorso attraverso varie sale, ognuna con un tema chiave. Da Archetipo da cui derivano le attuali proposte, essenziali ed esemplari, a Costruzione con capi o accessori frutto di combinazioni. Da Dettaglio, che va da un tocco di asimmetria a un volant inaspettato, a Laboratorio dove il legame con il sartoriale e l’artigianato è molto forte. Da Materia, dominata dalla ricerca dei materiali, a Ornamento con l’applicazione di elementi a sorpresa, come espressione del rinnovamento. Da Superficie,  in cui le geometrie sono viste in tutte le accezioni fino all’etnico, a Uniforme che ribadisce l’appartenenza a una categoria, si rifà al mondo del lavoro o guarda allo street style. Da vedere quindi in un allestimento-installazione  capi da uomo e da donna, scarpe, borse, zainetti, gioielli, occhiali. Tutti disegnati e  prodotti da brand e stilisti, dal 1998 in poi. E non da giovani o da emergenti, termini  che i curatori non hanno giustamente voluto utilizzare. La mostra  è dedicata a Elio Fiorucci. Non un omaggio alla memoria, come ha spiegato Eleonora Fiorani, curatore del settore moda della Triennale, ma  un tributo di riconoscenza a uno dei più grandi innovatori a livello internazionale.