venerdì 4 luglio 2014

GRAND TOUR TRA I CITOFONI



C’è chi ha fatto le interviste con i citofoni e chi attraverso questi fa viaggiare nel mondo. E il secondo per davvero. Succede in un libro edito con la consueta eleganza da Skira.
L’autore è Severino Salvemini, professore dell’Università Bocconi ed esperto di economia delle istituzioni culturali. A differenza di quanto ci si potrebbe aspettare i citofoni sono  raccontati con acquerelli. Proprio come i viaggiatori del Grand Tour nei loro carnet descrivevano palazzi e paesaggi. I campanelli dell’era moderna, ora precocemente invecchiati, sono “ritratti” a Belfast, Courmayeur, Venezia, Milano, New York, Rio de Janeiro, Londra, Berlino, Colonia, Abu Dhabi, eccetera. Non si vede niente dell’edificio di cui fanno parte, anche se spesso si intuiscono molte cose. Il titolo del volumetto è intrigante  “Prego , farsi riconoscere al citofono”, ma non è di fantasia.  E’ una scritta accanto a uno dei tanti citofoni. Come spiega l’autore nelle prime pagine, l’idea gli è venuta a Colonia, dove la sua attenzione è stata attratta da un citofono che non avrebbe mai potuto essere “in Sicilia o in Spagna o a Marsiglia”. E da quel momento ha fatto caso a questi oggetti e si è accorto che “non sono banali e impersonali”. Non solo il citofono fa parte dell’arredo urbano ma “…è un artefatto culturale. Incarna attraverso un banale strumento di comunicazione valori, credenze e identità di chi vive in un certo spazio”. E la conferma si ha confrontando l’indice dove sono catalogati per luogo i citofoni-acquerelli. “E’ un testo di sociologia, fa vedere le relazioni umane… mostra l’evolversi della tecnologia  e dell’abitare” ha detto il sociologo Renato Mannheimer alla presentazione del libro. ”E’ un piccolo trattato di antropologia urbana..” ha ribadito la critica d’arte Angela Vettese, che ha elogiato Salvemini per aver osato l’acquerello, una tecnica pittorica  che non consente correzioni. Non a caso scrive nell’introduzione Beppe Severgnini: “I citofoni di Salvemini viene voglia di suonarli. L’acquerello addolcisce, le città affascinano, i nomi attirano”. “Lavoro curioso e intrigante di chi trova tuttora diletto nel gioco dell’intelletto” dice a conclusione della sua introduzione Philippe Daverio.

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