venerdì 30 maggio 2014

RAGIONEVOLMENTE


PortiAMOli con noi! E’ lo slogan della campagna contro l’abbandono degli animali, scelto dalla provincia di Milano. Con quell’amo evidenziato, brillante, ma soprattutto incisivo dovrebbe avere seguito, più di qualsiasi luogo comune che punta sulla commozione facile. Con questo stesso spirito è stato realizzato il video.   Nessun cedimento a immagini strappa lacrime , ma una storiella   raccontata in tono frizzante: papà, mamma e bambina caricano i bagagli in macchina, in mano hanno i biglietti aerei. Il trasportino con il gatto rimane sul marciapiedi. Un istante dopo  eccolo nel cassonetto, sollevato dal camion della nettezza urbana.  Nessuna nota da tragedia , ma un neorealismo che  colpisce anche di più . Perché corrisponde a verità. Dei cani e gatti abbandonati ogni anno, sono pochissimi quelli lasciati per seri problemi economici, di salute, piuttosto che di morte o ricovero dei proprietari. Responsabile dell’orrendo malcostume, l’incultura, che porta a considerare un animale  come un oggetto di consumo, legato alle mode e agli stati d’animo.  Dietro la campagna, che sarà presentata ai milanesi il 9 giugno, oltre la provincia di Milano e la Regione Lombardia, vari soggetti ognuno con il proprio importante contributo di prevenzione, educazione, appoggio. Dalle Asl all’Ordine   medici veterinari , dal parco Canili all’Uda, ufficio diritti animali. Sentimento e ragione, i due motori principali. Non solo argomentazioni validissime, dettate dal cuore, infatti, ma anche  motivazioni  economiche, che potrebbero essere anche più determinanti. Per esempio considerato il numero di cani nei canili  nella sola Lombardia (circa 4.500 euro ) e il costo del mantenimento all’anno di ognuno (circa 1.500 euro) e proiettando il dato sull’intera Italia risulta che  per mantenere tutti i cani ci vorrebbero 345 milioni di euro, cioè  circa mille volte di più di quanto  stanziato dal Governo. Non c’è da stupirsi quindi che molti canili siano dei veri lager e che quelli funzionanti si basino in gran parte  sul volontariato. 
Per chi  vuole sapere di più di cani e gatti, per adottarli,  imparare a gestirli, o semplicemente per divertirsi con loro, in programma QuattroZampeinFiera, il 7 e l’8 giugno al Parco Esposizioni Novegro a Milano, il 20 e 21 settembre a Napoli, alla Mostra d’Oltremare.         

mercoledì 28 maggio 2014

SASSI FOTOGENICI


Che città come New York, Londra, Roma, Parigi abbiano itinerari per cinefili non c’è da meravigliarsi, ma che Matera, con poco più di 60 mila abitanti, sia stata la location di diversi film  è  meno scontato. Considerato anche che i Sassi sono stati disabitati per decine di anni. “The Passion” di Mel Gibson non solo non è l’unico film girato qui, ma è stato uno degli ultimi. Difficile per chi conosce Matera immaginare un luogo che meglio raffiguri la Gerusalemme del Vangelo. Normale  che Pier Paolo Pasolini nel 1964 l’abbia scelta per “Il Vangelo Secondo Matteo”. Meno prevedibile che sia stata la scenografia di “King David”, colossal americano di Bruce Beresford del 1985, con Richard Gere. Per molti un condensato di effetti facili, salvabile solo per le riprese sui Sassi. La maggior parte dei film, tra l’altro, sono stati girati prima che Matera fosse dichiarata Patrimonio dell’Umanità nel 1993. Alcuni sono antecedenti lo sgombero dei Sassi. Come il documentario “Nel mezzogiorno qualcosa è cambiato” di Carlo Lizzani del 1949 o  “La Lupa” di Alberto Lattuada del 1953 dall’omonimo romanzo di Verga. Non stupisce che a Matera Francesco Rosi abbia ambientato “Cristo si è fermato a Eboli”, storia di un antifascista al confino (Gian Maria Volonté),  autobiografia di Carlo Levi.E Nanni Loy un breve,ma significativo episodio dell’ottimo “Made in Italy”  del 1965. O Lina Wertmuller il divertente, quanto amaro “I basilischi” del 1963. “Gli Anni ruggenti“ di Luigi Zampa, del 1963, con Nino Manfredi e Salvo Randone si svolge a Matera più che a Ostuni, come molti pensano(v.foto). Tra i film più recenti, precedenti a “The Passion”, “L’uomo delle stelle” di Giuseppe Tornatore del 1995, con Sergio Castellitto.  Ma la  fotogenia  di Matera  viene anche dalla sua duttilità. Per i fratelli Taviani è stata il Meridione dell’Ottocento in “Allonsanfan” del 1974 con Marcello Mastroianni  e del Settecento borbonico in  “Il sole anche di notte” del 1990, con Nastassja Kinski e Charlotte Gainsbourg. E  addirittura un paese basco del Novecento in “L’albero di Guernica”, coproduzione italo-francese del 1975 per la regia di Fernando Arrabal,  con Mariangela Melato(v.foto). 

martedì 27 maggio 2014

CHE VIAGGIATORE SEI?


 Foto in copertina di "Baleari"

Esiste un viaggiatore ideale? Le categorie di viaggiatori sono tali e tante che è  difficile fare delle valutazioni. Le più conosciute, tra l’altro, sono spesso le peggiori. Dai “bulimici”  e i “compulsivi” che devono vedere tutto, qualsiasi sia il tempo a disposizione, ai “primatisti” il cui unico interesse è mettere la bandierina. Si sovrappongono, spesso, ai “pacchi”  che  guardano solo quello che gli si dice di guardare, lo considerano un sostitutivo della TV e riportano la vita di sempre a migliaia di chilometri da casa. O ancora gli “aneddotici” che  giunti alla meta non danno neanche un’occhiata all’oggetto, al monumento, al paesaggio in questione, ma leggono sulla guida tutte le informazioni in proposito, soffermandosi soprattutto su dettagli inutili e date. Non necessariamente per riferirle ai compagni di viaggio.
Non sono fatte per loro le nuove guide, sempre più attualizzate, attente ai cambiamenti e a mettere in evidenza realtà in trasformazione. C’è un fiorire di guide specialistiche, adatte a chi vuole soffermarsi solo su certi aspetti di un paese o di una località. Come  quelle di   una città  attraverso   le location cinematografiche,  piuttosto che i luoghi citati in un romanzo o in una certa letteratura. Oppure ancora seguendo i percorsi di un pittore, ovviamente figurativo, e i paesaggi che l’hanno ispirato. Ma anche una guida, apparentemente classica, può riservare delle sorprese, con pagine da leggere come un romanzo. Così in “Baleari” di Pietro Tarallo (ed.Ulysse Moizzi) appena uscita, ci si può divertire con curiosità-scoop o avere indirizzi sofisticati per dove dormire. E non solo nella understatement Minorca, ma perfino a Ibiza regno delle nuove discoteche-hotel.
  

venerdì 23 maggio 2014

SARANNO FAMOSI 1935


 (foto Marco Caselli)
Ci vuole un bel coraggio per portare sul palcoscenico una storia tratta da un libro, diventata nel 1969 film con la regia di Sydney Pollack, accolto con enorme successo a Cannes  e insignito di  un  Oscar per il miglior attore non protagonista.  Giorgio  Mariuzzo, che ha tradotto e adattato il testo  e Gigi dell’Aglio regista, questa audacia l’hanno avuta e sono stati premiati. “Non si uccidono così anche i cavalli”, prodotto da Fondazione Teatro Due in collaborazione con Balletto Civile, dal 21 al 24 maggio al Teatro dell’Elfo di Milano, è stato molto applaudito e, nonostante le due ore senza interruzione, ha tenuto vivissima l’attenzione . Il romanzo, scritto nel 1935 da Horace Mc Coy, racconta l’America della grande depressione .     Giovani e meno giovani, arrivati a Hollywood da tutto il Paese e anche da oltre oceano, partecipano a una maratona di ballo a coppie. I vincitori non conquistano i mille dollari in palio per meriti, ma per resistenza fisica. Nessun giudizio di qualità quindi, ma criteri di scelta  simili a quelli usati per  gli  animali da macello. A parte qualche ingenuo concorrente legato al sogno americano, che  spera di essere  notato  da  un produttore,  gli altri gareggiano per  fame, più che per  fama. Come la coppia, di cui lei incinta,  che non ha casa, ma  vive sui treni merci. I personaggi parlano poco, ma sono ben caratterizzati, credibili. Come Gloria cinica e disillusa, piuttosto che l’inglese Alice, arrivista con velleità d’attrice, o il cowboy Robert lì per caso, impacciato ma generoso e sempre pronto a mediare. Sul palcoscenico, trasformato in pista da ballo, oltre i concorrenti scatenati in performance  di ottimo livello, il viscido presentatore e una sgradevole e rigida infermiera, c’è una valida piccola orchestra  e  Michela Lucenti, che ha curato la scrittura fisica dello spettacolo, nella parte di una  pseudo Carmen Miranda, l’emigrata che ce l’ha fatta.  Ai due lati è seduto un certo numero di veri spettatori: un modo geniale per coinvolgere il pubblico  ed evidenziare le analogie  con certi reality show televisivi.   



mercoledì 21 maggio 2014

REMEMBERING


Raccontare la giovinezza non è facile, se si vuole essere realistici e non scontati. Il rischio della banalità è sempre in agguato. Anche  i flash di umorismo spesso risultano goffi come un po’ goffi sono i giovani, quelli veri. Il tema  intriga  per le contraddizioni, i sentimenti esasperati, la mancanza di filtri, le convinzioni portate a livelli eroici, e forse un po’ di immedesimazione, da parte di chi è giovane,  ma anche di chi lo è stato. Insomma  quello che ben descritto può essere una lettura coinvolgente, toccante. Non si spiegherebbe se no perché un romanzo come  “Il giovane Holden” di Salinger abbia raggiunto  60 milioni di copie vendute e ancora ora sia uno dei libri più letti. E         senza una versione cinematografica. Proibita dall’autore, come viene  spiegato in “Salinger. Il mistero del giovane Holden” docufilm di Shane  Salerno, nelle sale italiane, ieri. Solo un giorno. Per uscire poi in cofanetto Feltrinelli con un libro  curato dal regista.
Proprio la sera prima  a Milano  è stato presentato il libro “Tre storie quasi d’amore” di Augusto Bianchi Rizzi (Edizioni Mursia). Anche  qui il protagonista è un diciannovenne, poco più grande del giovane Holden. Non critica l’opportunismo, come il quasi coetaneo americano, ma vive l’iniziazione “ai misteri della vita e dell’amore”. Con tre donne, straniere, diversissime tra loro , ma ognuna emblematica. Le vicende si snodano come in un giallo, spingono il lettore a leggere veloce, ma lo stoppano spesso  su paragoni, dialoghi, descrizioni ora tenere, ora buffe.  Da cui emerge un protagonista  (l’autore cinquanta anni fa, anche se si compiace di non ammetterlo) sempre più alla ricerca di un’identità, non tanto di amatore quanto di adulto. Bianchi Rizzi, avvocato, scrittore e commediografo,  è all’opposto dello schivo e orso Salinger.  A far da trampolino di lancio per il suo libro ha voluto sul palcoscenico del teatro Franco Parenti una disinvolta conduttrice, sei esperti musicisti con un repertorio soprattutto dell’est, attori, una giornalista, una scrittrice e perfino un magistrato. Megalomania? No,  una scelta coerente da parte di  chi  da ventiquattro anni, tutti i giovedì,  apre la sua casa per una cena con intrattenimento a minimo cento persone. Con giovedì finale in maggio in smoking e abiti da sera, preferibilmente rossi per le signore.