mercoledì 30 ottobre 2013

STUPIDA E' LA NOTTE

 T-shirt Frankie Morello
 Castello di Dracula a Bran
Chissà perché delle tante “idee” americane, e ce n’è di buone oltre alla Coca Cola, ha preso piede  Halloween. Come mai con tutte le tradizioni italiane, si è andati negli Usa a prenderne una che non ha niente di interessante. Se la ragione è una spinta al consumo, forse si poteva trovare  qualcosa di meglio. Feste con dress code di rito, iniziative, viaggi ormai sono programmati in tutta la penisola e anche fuori. Come un week end al castello di Dracula a Bran, frazione di Brasov in Transilvania,  con giro nelle stanze  guidati dal fantasma del vampiro.    Tra i gadget, a parte le zucche che nei supermercati stanno spodestando i crisantemi, le  T-shirt, come sempre, sono i pezzi  più proposti. Dalle più basic e rozze con teschio o scheletro a quelle più ironiche o con pretese di esserlo con gatti neri,  streghe,  tarocchi, amuleti. La limited edition di Alysi sull’etichetta porta scritto:  “Trattasi di capi sottoposti a un particolare incantesimo. Ogni capo è stato immerso in una pozione  magica che dona un aspetto ammaliante a chi la indossa…”. Niente scheletri o simili,  ma frammenti di un viso ispirati al film Black Dalia sulla T-shirt di Frankie Morello.  Teschi, fantasmi, croci e chi più ne ha più ne metta su anelli e bracciali (Nomination, Pandora). Niente di male anche se il tutto lascia perplessi.  I dubbi diventano più pesanti se si viene a sapere che qualcuno per un travestimento più convincente utilizza  lenti a contatto  con iridi nere o a forma di fuoco  che contengono pigmenti di metalli tossici,   pericolosissimi per gli occhi.  Last but not least sembra che in Italia ogni 17 minuti in media venga ucciso un gatto nero, con un picco nella notte di Halloween,    per riti esoterici e satanisti. Per questo 432 volontari di AIDAA (Associazione italiana difesa animali e ambiente)in quella notte formeranno delle ronde in oltre sessanta zone italiane.

martedì 29 ottobre 2013

VIVA LA LIBRITA'


Può sembrare mancanza di realismo e scarso senso sociale guardare con tristezza le librerie che chiudono. Quando le serrande si abbassano su negozi di ogni genere. Eppure, cadendo nella retorica del libro-cibo-per-la-mente, una libreria che chiude non è solo indice di una  crisi economica, ma potrebbe esserlo di un decadimento di interessi e di valori.


Il caso della Libreria Bocca a Milano, in Galleria Vittorio Emanuele II,  non può passare inosservato. Fondata nel 1775 è la più antica azienda libraria rimasta in Italia. Specializzata in libri d’arte, biografie di artisti, cataloghi, nel giro di poco tempo è in grado di procurare qualsiasi volume. L’ambiente è piacevole non solo per i libri e i quadri   esposti, ma per un pavimento a sorpresa in lastre di vetro dipinte da contemporanei. Qualche anno fa è riuscita, grazie anche al FAI, a evitare l’aumento dell’affitto che l’avrebbe obbligata a traslocare per lasciare posto alla solita griffe. Ora non ce la fa più, è costretta a saldi clamorosi, ma Giacomo Lodetti, il proprietario,  non sa fino a quando potrà andare avanti. L’introito giornaliero è un decimo di quello di tre anni fa. I maggiori guadagni vengono  dai quadri  che gli artisti mettono in mostra. Neanche gli incontri  del giovedì  aiutano a vendere.
Le librerie chiudono, la gente non legge, eppure  continuano a uscire libri  di ogni genere che dimostrano come “l’oggetto” sia lo specchio più sfaccettato del mondo. A parte la narrativa di per sé varia e variegata, gli ambiti sono vastissimi.  Ecco due esempi. Appena uscito per la collana Carta Bianca di Ediesse Editore “Uomini e navi. Fincantieri storia di un’azienda di stato” di Alessandra Fava. L’autrice, giornalista, cerca di capire come mai un paese in mezzo al mare possa rinunciare a fare navi. Un’indagine approfondita su un  tema scottante, che ha potuto sviluppare e portare avanti senza alcuna censura. “Carta bianca di nome e di fatto” ha commentato Fava.
Esce il 6 novembre edito da De Vecchi “Storie di cani e di amicizia”. Gli autori sono venti personaggi noti che raccontano in modo buffo, serio, commuovente, surreale, ironico il rapporto con un cane.  Da Alberto Bevilacqua a Dacia Maraini, da Danilo Mainardi a Maurizio Costanzo, tutti hanno destinato i diritti del libro all’Associazione Mondi a Confronto, onlus a tutela degli animali.    

sabato 26 ottobre 2013

ARTCHITETTURA ?


No, non si tratta di un banale, grossolano refuso. L’artchitettura esiste e ha addirittura un suo manifesto. Cosa sia si può intuire,  ma ce lo spiega meglio Andrea Burroni con una relazione e una mostra, da oggi al 10 novembre,  alla Galleria d’Arte De Munari di Vicenza. Il manifesto è  il punto finale di un percorso artistico che inizia con le opere esposte degli anni ’70(v.foto). Interior designer, bibliofilo e collezionista, Burroni insieme a Filippo Coltro, architetto, vuole dimostrare come l’architettura sia il contenitore di tutte le arti.     I capolavori del mondo, dalle preistoriche  pitture rupestri alle fiabe raccontate nei quadri di Chagall, sono possibili perché esiste un oggetto di cui diventano decorazione. Il manifesto capovolge la regola. Prima l’artista compone l’opera, poi l’architetto la trasforma in un’architettura. Inutile dire che il riferimento al futurismo è forte e giocato sull’ironia e il surreale.
Il rapporto fra processo creativo e architettura è al centro  anche di Meeting Architecture un ciclo di conferenze , mostre-studio, performance alla British School di Roma, in collaborazione con il Royal College of Art di Londra. Il primo incontro è il 29 ottobre, con una mostra fino al 19 novembre dal bizzarro titolo “Madame Wu and the Mill from Hell”. L’architetto anglo-canadese Adam Caruso e l’artista tedesco Thomas Demand raccontano della loro collaborazione a parole e attraverso i progetti esposti. Il titolo si riferisce alla storia della signora Wu, impegnata a difendere dall’abbattimento la sua abitazione in una città cinese, che ha ispirato Demand per Nagelhaus e alla casa dell’artista a Berlino, ricavata in un vecchio mulino.
   

venerdì 25 ottobre 2013

LASSU' QUALCUNO CUCINA


Il luogo è di forte impatto e da due stilisti capaci di ricostruire in passerella scenografie da teatro lirico, c’era da aspettarselo. Il Ceresio 7, il nuovo ristorante di DSquared2  marchio dei gemelli Dan e Dean Caten, si trova a Milano, al sesto piano dell’edificio che ospita gli uffici. E’ un palazzo dall’austera architettura anni Trenta, un tempo irrilevante e anonimo nella trafficata Via Ceresio, ora evidenziato e valorizzato da un’illuminazione a effetto. Ma è lassù, nel roof garden che si ha la sorpresa. Visibile dall’interno, attraverso le grandi vetrate, e dal terrazzo  intorno, uno skyline milanese  unico. Che mette insieme i  vicini recentissimi grattacieli, i campanili e le case basse del vecchio quartiere popolare, l’imponenza del Cimitero Monumentale , le più lontane guglie del Duomo.  Sui lati più larghi  ci sono due piscine identiche, perché tutto qui è doppio e speculare, anzi gemello, come i padroni di casa. Il progetto è stato curato dallo studio Storage Associati, gli arredi da Dimore Studio sotto la guida attenta dei Caten, decisi a ricreare  un’atmosfera  cosy, piacevole e rilassante come quella di una casa. Alle pareti dipinti di Basquiat, ma anche un patchwork di litografie e stampe con vecchie cornici trovate nei mercatini, realizzato dagli stessi stilisti. I tavoli  in legno laccato rosso e  le sedie color salvia richiamano  gli  arredi americani anni Cinquanta. Sono  azzurri  i comodi lettini bordo piscina.  Colori scuri, invece, per le poltrone del cigar bar, che  con le foto in bianco e nero alle pareti,ricorda vagamente la hall dell’ Hotel National all'Havana.
Molto utilizzato per colazioni di lavoro con i clienti, data la vicinanza al quartier generale, il Ceresio 7 è aperto  al pubblico tutti i giorni dalle 12 fino a sera tardi.  La cucina è  affidata allo chef stellato Elio Sironi, che nel suo menù ha previsto, tra stufati di mare, galletto allo spiedo con polenta e creative leccornie varie, anche interpretazioni dei “piatti di casa Caten”. 

martedì 22 ottobre 2013

SOGNO O PERFORMANCE?


Da un sasso  in  poliuretano,  che sembra caduto   al centro di un   settecentesco cortile, escono frammenti di discorsi ufficiali di  personaggi del Novecento, trasformati in canto da tenori e soprani. Di loro, dai buchi della roccia,  emergono ora i capelli, ora un braccio,  ora una gamba, più raramente un volto. Su uno scalone con passatoia rossa  un trombettista intona in jazz la militaresca Sveglia.  In un salone, con stucchi e affreschi, sulle pareti spiccano a sorpresa due immense tele contemporanee e in mezzo un ragazzo esce da un pianoforte. Mentre le sue gambe lo trasportano in giro, proprio come un girello, le sue mani arrivano alla tastiera e suonano l’inno alla gioia . In un altro salone  dieci  ballerini allineati creano un muro che a metà si spezza è dà vita a una specie di porta girevole umana . Un video racconta  di un condor  che segue il suono di un piffero. Un altro, un po’ inquietante,  mostra primi piani di pantere, fiere varie e zebre imbalsamate. Procedendo  c’è uno distributore di benzina  grigio, pietrificato.  Il tutto  tra soffitti affrescati e grandi finestre affacciate su un giardino. Se fosse un sogno potrebbe fare la gioia perfino del più mediocre analista freudiano. Ma è realtà, nel senso che si può vedere, le persone sono in carne e ossa, pianista nel pianoforte compreso. E’ Faulty Lines (letteralmente linee di faglia, fratture del suolo formatesi dall’incontro di due masse rocciose) mostra di Jennifer Allora(americana classe 1974) e Guillermo Calzadilla (cubano classe 1971) proposta dalla Fondazione Trussardi a Palazzo Cusani, da oggi fino al 24 novembre. E’ la prima volta che i due artisti, che formano una coppia anche nella vita (si sono conosciuti giovanissimi a Firenze), espongono in un’istituzione italiana. Il lavoro, che si potrebbe definire un’acuta metafora delle contraddizioni del mondo,  è ovviamente  un  site specific, studiato per il palazzo, scelto dal curatore della mostra Massimiliano Gioni.   Enorme, è intuibile,  il lavoro di casting, audizioni, prove che sta dietro, durato più di un mese. Se qualcuno  aveva ancora qualche dubbio su come in un’unica opera si possono intersecare, fino a diventare  complementari, linguaggi artistici diversi, qui ne ha un bell’esempio.