domenica 28 aprile 2013

MA CHE BEL CASTELLO...

 Scultura di Luciano Minguzzi

Di castelli in Valle d’Aosta ce ne sono molti, ben conservati e scenografici. Un museo d’ arte contemporanea o moderna in un palazzo antico non è una rarità. Eppure il Castello Gamba, con la sua collezione, appunto di arte moderna e contemporanea, merita davvero di essere visitato. Inaugurato lo scorso ottobre, a cinque minuti dal centro di Châtillon, è circondato da un parco  perfettamente tenuto. La centenaria sequoia con il tronco di sette metri fa già la sua parte. E anche la vista che si ha dalla rotonda non è da meno, superata solo da quella che si gode dall’altana del castello. L’ingresso al museo non corrisponde  a quello originale,  con le due imponenti scalinate curve, in pietra come l’intero edificio. Si entra da una porta laterale in basso, raggiungibile da un sentiero con una scultura di Luciano Minguzzi. Il restauro è stato accurato e non invasivo. Sono stati lasciati i parquet di noce e i camini del piano nobile, come il piccolo ascensore in legno, il primo installato in Valle d’Aosta. Fu voluto dal barone torinese Carlo Maurizio Gamba, proprietario del castello, che lo fece costruire nel 1903. Per la giovane moglie, la contessa Angélique Passerin d’Entrèves, importante casato valdostano, che aveva nostalgia delle sue valli. Nei grandi saloni si trovano pitture e sculture dagli ultimi decenni del Novecento a oggi. Dall’astrattismo alla pop art, dal surrealismo alla transavanguardia. Da Guttuso a  De Pisis, da Fontana a Schifano, da Ceroli a Giò e Arnaldo Pomodoro, da Isgrò a Del Pezzo, a Tadini.Esiste poi un deposito  visitabile solo in particolari occasioni,  ma visibile su uno schermo interattivo. L’ultimo piano del castello e l’altana, con le enormi finestre aperte sulla valle, ospitano mostre temporanee di artisti locali, come l’attuale dedicata a Italo Mus (1892-1967). Nella sala di consultazione è disponibile un database con tutte le opere della collezione. Per informazioni www.castellogamba.vda.it

mercoledì 24 aprile 2013

PERCHE' NON PARLI ?

 Vetrina Luxe Bohème  (Printemps Haussmann Parigi 2008)

Un uomo tacciato di manichino raramente è un seduttore. Al massimo gli si riconosce un’eleganza formale, ma fascino e sex appeal zero.  Per il manichino al femminile è diverso. Forse perché in francese la parola indica anche una creatura animata, in genere bella.  O forse perché c’è una letteratura, spesso deteriore,  su manichini donna capaci di far innamorare da dietro la vetrina. Ovviamente di notte nelle strade deserte.  I manichini fotografati nel volume “Mannequins. Bonaveri. A History of Creativity Fashion and Art” (Skira Editore),  non suscitano passioni, ma sono intriganti. Già dalle prime pagine si è presi dalla  curiosità e dalla voglia di continuare a sfogliare il libro, quasi per   sapere come va a finire la storia. Contribuiscono, oltre alla scelta delle foto, i testi ben coordinati  da Gianluca Bauzano, che è il curatore del volume.  A cominciare dai due primi scritti dei fratelli Bonaveri che, con il libro, hanno voluto festeggiare i sessant’anni dell’ attività di costruttori appunto di manichini, iniziata dal padre Romano nel ghetto ebraico di Ferrara. Niente nostalgie autoreferenziali un po’ scontate,  ma il racconto di una passione  diventata lavoro. L’importanza di saper creare qualcosa a figura umana     capace di “valorizzare l’ abito, esprimere il tema, senza tuttavia rubare la scena” come scrive Andrea Bonaveri .  Molte le testimonianze, anche gli aneddoti di stilisti, direttori creativi, couturier, curatori di esposizioni per i quali il manichino è stato fondamentale. Come per la mostra sulla moda in Italia nel 2011,  alla Venaria Reale di Torino, curata da Franca Sozzani, direttore di Vogue, che con i manichini ha ricostruito una sfilata con passerella e pubblico. Bellissime le immagini della mostra di Roberto Capucci al Teatro Farnese di Parma nel 1996. “Il manichino deve essere discreto. Direi metafisico, il volto un’idea, il naso appena accennato” scrive  Capucci.Molte le foto di presentazioni statiche o vetrine che spiegano il livello di creatività che si può raggiungere.   Ecco  manichini con articolazioni, per renderli più vivi   o  con le teste  sostituite da animali e piume,  come  nella mostra   di Louis Vuitton del 2012 al Musée des Arts Decoratifs a Parigi.  “Si tratta di forme  che chiedono di vivere su quel palcoscenico che è la vetrina” scrive  Antonio Marras. E a parole, alla presentazione del libro, aggiunge “Il manichino invita a entrare nel negozio, proprio  come le modelle sono il tramite per far vivere l’abito in sfilata”.

BELLEZZA IN ERBA


 Carte da filtro
Ci sono i sostenitori irrimediabilmente integralisti e i detrattori totali, che non vogliono neanche sentirne parlare. Sull’argomento “curarsi con le erbe” non esiste un pensiero via di mezzo. Sicuramente la proliferazione selvaggia di erboristerie  degli ultimi anni  e gli esaltati  pseudo-addetti al settore non hanno giocato a favore . Forse  però è il caso di rivedere certi preconcetti  e affrontare il tema con valutazioni  fondate. Quello che può fare lo spartiacque fra “modaiolo inutile” e “serio utilizzabile” è il livello delle proposte. Con Aroph Spagiria (aroph da “aroma philospophorum”, spagiria metodo di lavorazione delle piante) si è sulla buona strada. Intanto l’incontro con  la  fondatrice-ideatrice, Valeria Di Paola. Nessun atteggiamento “missionistico”, ma un modo di parlare chiaro, con un approccio scientifico e rassicurante. Non a caso, suffragato da una laurea in medicina e dall’ esercitare la professione di medico a Milano. Dietro, certo, si intravvede la passione, quella  che ha  sostenuto Valeria nei trent’anni di vita della piccola impresa, creata insieme alla sorella biologa. Alla base   conoscenze ed entusiasmo ereditati dalla nonna, esperta di   erbe. Ed è proprio dove viveva la nonna, a 15 Km da Urbino, che le intraprendenti Di Paola hanno ristrutturato un casolare  del 1600 per farne la sede-laboratorio  di Aroph Spagiria . Intorno i campi dove vengono coltivate 90 specie di piante, dalle  nostrane timo e  salvia a quelle importate da paesi lontani,  come la curcuma indiana.   Ai prodotti medicali si sono aggiunte, e saranno messe sul mercato in questi giorni, due linee cosmetiche, una per la cura e l’igiene del corpo, l’altra per il trattamento di bellezza di viso, corpo, capelli.  Niente ingredienti ogm, niente petrolati e ovviamente nessun test su animali, ma un controllo diretto sull’intera filiera. Coerente  il packaging, discreto ma incuriosente. Una spiegazione dettagliata per l’uso all’interno, poche righe per indicare la composizione del prodotto  e un affasciante disegno all’esterno. E’ la riproduzione delle carte da filtro usate nelle lavorazioni.   Tubetti, invece  “nudi”, senza smalti  di probabile tossicità. www.spagiria.it
 

sabato 20 aprile 2013

SASSI CHE IL MARE HA CONSUMATO


“Non è una città per tutti” dice qualcuno di Matera. E non ha nulla a vedere con il fatto che è difficile da raggiungere e faticosa da visitare per i diversi livelli. Se fosse”capita” da tutti dovrebbe essere assediata dai turisti più di Venezia in una domenica d’agosto. Il riferimento non è casuale. Perché come Venezia è una città unica. Non basta dire  che può essere una spiegazione “vivibile” delle ere geologiche dal pleistocene ai giorni nostri. Dietro i "sassi" e lo  straordinario effetto presepe, c’è la storia dell’uomo e dell’architettura, che continua in una ristrutturazione rispettosa del passato, ma che tiene conto del meglio del progresso. Tutto qui ha una spiegazione di 
funzionalità. Matera è costruita in quella parte di collina di arenaria compatta, divisa dalla  Gravina, un canyon, da una collina fatta di pietre che, invece, si spezzano, se la si scava. Le  case,  solo la parte anteriore, perché il resto è nei sassi,  hanno un tetto a scala. L’acqua piovana così fluisce più lentamente per incanalarsi in tubature di tegole, verso la cisterna. Le strade, sono a gradoni ( larghi perché calcolati per il passo del mulo) per evitare che si formino “torrenti”, quando piove. Ci sono belle chiese romaniche o barocche, e Santa Lucia alle Malve è da sindrome di Stendhal. Ma niente incanta come entrare in una casa grotta. A parte quella “didascalica” di Vico Solitario, testimonianza di come viveva la gente fino a cinquant’anni fa. E’incredibile notare come le grotte sono state scavate  su diversi livelli per sfruttare la luce, che proviene da un unico ingresso. Il ristorante Il terrazzino ne è un esempio clamoroso.  Da vedere anche negli hotel . Si potrebbero chiamare diffusi, ma sono  l’unica soluzione possibile nei sassi. Dalla Locanda di S.Martino  che si sviluppa su stradine affacciate sul Sasso Barisano con arredo minimale chic. Al   Sant’Angelo Resort con vista sulla Gravina e sulla chiesa di S.Pietro Caveoso. Spazi ampi, mobili  e sanitari ultra design. O ancora Le grotte della Civita, forse il più sofisticato, dove i materiali usati  sono a kilometro zero. Anche i mobili sono recuperati sul posto o costruiti  seguendo le tecniche di un tempo. Tra le mete obbligate   il Palombaro Lungo, le vecchie cisterne.  O il MUSMA, Museo di scultura materana,  nell’ex palazzo Pomarici: opere pregevoli in una cornice unica. E infine il Rione Casalnuovo con molti  “sassi” ancora da recuperare per diventare museo.

giovedì 18 aprile 2013

ALTRE STORIE


Ha tutte le carte in regola per diventare l’Ikea della moda. Quel pizzico  di  essenzialità ma con un occhio alle tendenze, quel  molto di rispetto  ambientale,  quello spirito intergenerazionale. Quel niente di pauper chic   e soprattutto prezzi ottimi.
 Segnalazioni essenziali
Parliamo di & Other Stories  il department store   che   apre le sue porte domani a Milano, in Corso Vittorio Emanuele e per ora è anche l’unico in Italia. La proprietà è appunto svedese, gli atélier si trovano a Parigi e a Stoccolma. Ma i designer provengono da tutto il mondo .  Il nome, incredibilmente, ha un significato, parla di altre storie, perché è un invito a trovare dei total look mettendo insieme stili diversi, che possano diventare assolutamente individuali. Tutto si “racconta” sui quattro piani del negozio.  Il minimalismo al pian terreno, mai mortificante, senza nero eccessivo, adatto anche a chi non ha la taglia 42. Tacchi alti e no, pantaloni e gonne. Il piano sotto è il regno della scarpa.E, compatibilmente con la stagione, si può trovare veramente tutto. Dal tacco a  stiletto all’infradito giapponesoide. Tutto ha una precisa connotazione e soprattutto i materiali hanno una loro solidità, sono piacevoli al tatto. L’effetto cartone dei low cost è lontano mille miglia.  C’è un piccolo angolo con  capi più romantici, ma niente di eccessivo o troppo marcato. Qui non si viene certo per l’abito dei sogni dal taglio insolito, o per i sandali gioiello da red carpet, ma si è certi di trovare qualcosa di donante, anche per una sera speciale. Al primo piano c’è un assortimento di brand   beauty . Accomunati dalla qualità, dai packaging semplici e assolutamente riciclabili. Addirittura con un servizio di rottamazione  per chi porta in dietro la confezione. Niente oro e lustrini, ma un rassicurante prammatismo di base, di impronta nordica. Il secondo, o quarto piano se si comincia dal sotterraneo, propone intimo, vestiti da sera, borse, pochette, gioielli. Puoi trovare gli orecchini a goccia in plastica verde a 9 euro, l’anello addirittura a 5. Il lungo nero con intrigante zip a 45 euro, da accostare, magari, al giubbino di pelle nera, hard ma non troppo. E’ il pezzo più caro, che ti porti via con 240 euro.