martedì 30 ottobre 2012

VIVA VIVIENNE


 Immagini della campagna Woolmark
Essere alternativi e propositivi allo stesso tempo. Stravolgere i canoni comuni ma sortire sempre risultati brillanti. Andare controcorrente per promuovere ottime finalità. “Il fine valorizza i mezzi” potrebbe essere lo slogan di Vivienne Westwood  da ben 40 anni  nell’Olimpo della moda.  Questa volta l’estrosa lady non si occupa della libertà per un condannato, né della salvaguardia degli animali. Anche se la sua ultima mission riguarda delle pecore, le merino australiane, fornitrici di una preziosa lana. Westwood ha, infatti, siglato un accordo di partnership con The Woolmark Company, meglio conosciuta per il simbolo Pura Lana Vergine. Da sempre sostenitrice e utilizzatrice di questa come di altre fibre nobili, la stilista ha selezionato, all’interno delle linee uomo e donna per l’inverno,  una  capsule collection  di dodici capi in lana merino. Per dimostrarne le possibilità creative  e le doti di versatilità e durabilità. “Scegliere meglio, comprare meno e farlo durare” è il motto di Westwood, che in controtendenza, dice :”Preferisco un uomo che compra uno solo dei miei capi e lo porta dieci anni, piuttosto che qualcuno che compra dieci golf più a buon mercato e li indossa solo per un  anno”. Per lui propone dolcevita e cardigan bicolori o lunghi cardigan nelle tonalità autunnali del beige e del bordeaux.  Per lei piccoli pull e dolcevita ben aderenti al  corpo, abiti-cardigan lunghi fino ai piedi dal taglio sartoriale sulle spalle o tubini con oblò strategici sul davanti. O ancora una T-shirt, con stampa che riecheggia un affresco barocco, in jersey di lana dalla consistenza della seta, ma che richiede la  manutenzione facile del cotone.
In programma  diversi eventi a cornice tra cui la vendita nei negozi di Milano e Tokyo della speciale T-shirt, con proventi  a favore di Cool Earth, associazione, of course, ambientalista.
Sempre per non smentirsi, fedele a tutto tondo ai suoi impegni, Vivienne Westwood è Ambassador nella campagna pubblicitaria di Woolmark. Fotografata con Andreas Kronthaler, responsabile della linea uomo, da Juergen Teller.

giovedì 25 ottobre 2012

SWISS FELLINI

 Locandina della mostra Fellini Otto e Mezzo
Quanti sanno che esiste una Fondazione Fellini, anzi una Fondation Fellini a Sion, nel cantone svizzero del Vallese? Non solo c’è dal 2001, ma è quanto mai attiva e piena d’iniziative. Tra le più recenti l’esposizione Fellini Otto e Mezzo, presentata lo scorso agosto a Palazzo Benzon di Venezia, in occasione della Mostra del cinema, e dal 4 al 19 novembre alle Cartiere Vannucci di Milano (www.cartierevannucci.com). Da vedere attraverso l’obiettivo di Paul Ronald, famoso fotografo di scena, le varie fasi di realizzazione di uno    dei capolavori del cinema, Oscar per il miglior film straniero nel 1964. Scatti per lo più inediti che fanno rivivere l’atmosfera sul set con  Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale, Sanda Milo, Anouk Aimée, colti in momenti assolutamente naturali. O Fellini, concentrato a studiare le luci per ottenere quei contrasti unici, vero fiore all’occhiello del suo film in bianco e nero. Sponsor della mostra Crans-Montana Turismo che vuole “dimostrare ancora una volta l’importanza dei legami creati con i suoi ospiti transalpini”. Moltissimi, infatti, gli italiani che frequentano questa località. Un trend che è iniziato addirittura negli anni Quaranta  condiviso da molti personaggi. Da Gina Lollobrigida che qui sciava con un certo Bouby, originario del luogo. A Sophia Loren che aveva un appartamento vista golf. Dalla Regina Maria Josè a Roberto Benigni, a Roberto Donadoni ex CT della nazionale di Calcio. Per tutti i vip una meta certo mondana, ma dove potersi confondere con il normale turista. Una prerogativa tipica del cantone Vallese dove l’understatement regna sovrano. Da Leukerbad a Zermatt, da appunto Crans-Montana a Big Belalp, all’Aletsch, a Verbier.  Qui Branson sta di casa e Henry e Kate, se per caso vengono colti dall’obiettivo di qualche fotografo indiscreto, preferiscono essere citati come fossero in un altro luogo. Per la gioia dei vallesi, che al clamore del gossip antepongono la privacy dei loro ospiti. 

  
 

martedì 23 ottobre 2012

SHOPPING BRATISLAVO


  D1 Outlet City  in rendering
Di questi tempi le uniche due forme di vendita in deciso incremento sono l’web  e l’outlet.  Non è  strano, quindi,  che in un paese in espansione come la Slovacchia, da più di vent’anni distaccata dalla Repubblica Ceca, sia in progettazione un outlet. Sarà il primo del paese e si chiamerà D1 Outlet City. La previsione è di un ‘estensione di 15 ettari di cui 22 mila metri quadrati dedicati alla vendita.  La costruzione è iniziata lo scorso febbraio e  dovrebbe  terminare  a fine marzo. Il luogo prescelto è a 25 chilometri da Bratislava. Il fatto che sia la capitale non è importante. Determinante invece è la sua posizione.  In una delle rare regioni pianeggianti di un  Paese montagnoso e quindi anche l’unica zona industriale. Indicativo il fatto che mentre il reddito mensile in Slovacchia è di 700  euro mensili , nella regione di Bratislava è di 1.116. Con un tasso di disoccupazione del 5,4% contro il  13,2% del resto del Paese.
Ma non è solo sul potere d’acquisto dei circa 650mila abitanti della zona che punta l’IPEC Group, la società che gestisce l’outlet nonché uno dei più grandi “developers” slovacchi.  E’ la vicinanza con  Vienna (circa 90 minuti), Praga, Budapest, e l’essere  a distanza ravvicinatissima da un’autostrada  in cui circolano 90mila veicoli al giorno e a una superstrada con 20mila.
Niente di strabiliante nella costruzione, curata dalla società olandese Stable, con una collaudata esperienza nel settore dei centri commerciali (al suo attivo quattro outlet  fra Olanda e Germania e altri tre in costruzione). Il concetto sarà quello,   “molto praticato”  del villaggio, con aree vivibili, giardini, ristoranti, spazi per i bambini. In vendita moda, arredamento, design, ma anche gelati e prelibatezze varie. Le costruzioni saranno ispirate a quelle dei Carpazi con un mix quindi tra architettura contemporanea e tradizionale. Mentre nel settore moda, in cui ci sarà una grossa rappresentanza di marchi italiani, è prevista una passeggiata coperta sotta una  galleria di vetro riecheggiante la Milano dello shopping.  Quanto alle firme made in Italy presenti, sembra che gli accordi siano già stati fatti. A garantirlo anche  Il Cav. Mario Boselli presidente dalla Camera Nazionale della Moda italiana, che per anni è stato  nella Camera di Commercio Italo-Slovacca. I nomi però non si fanno ancora. Un po’, dicono, per non togliere la sorpresa, un po’, e sembra più plausibile, per non condizionare le possibili nuove adesioni. 

venerdì 19 ottobre 2012

TUTTO SUL VINTAGE


C’è un abuso della parola vintage. Con cui piace etichettare quasi tutto, dalla borsa   ai viaggi. E’ sufficiente un pezzo di un brutto laminato plastico di un colore infelice e un mobile diventa “vintage Cinquanta”. Basta qualche centenario e subito in una località si parla di vacanze vintage. Per ora sono  immuni dal vintage le persone e il cibo. E le ragioni sembrano ovvie.   Anche nella moda  il termine non sempre si usa  a tono.Da un lato si propone come vintage tutto quello che un tempo era solo “usato”, senza alcun valore aggiunto. Dall’altro  si nasconde con “stile  vintage” il vuoto di creatività in  un  capo nuovo.
 Anni 90. Completo in poliestere di Issey Miyake (Archivio A.N.G.E.L.O.)
Per chi vuole chiarirsi le idee, una mostra alla Fondazione Museo del Tessuto di Prato potrebbe essere la soluzione.  Per “Vintage. L’irresistibile fascino del vissuto” si deve aspettare fino al 7 dicembre, ma si avrà tempo  poi per vederla fino al 30 maggio.   L’esposizione si prospetta autorevole perché ideata e organizzata ”in” e “da” una città  che  sul  tessuto  usato  ha creato la sua storia e un’economia con 30 mila addetti e 4 miliardi e mezzo di fatturato annuo di cui due miliardi di export. E’ negli obiettivi degli organizzatori evidenziare il significato culturale del vintage, come fenomeno di costume, sociale, economico. Nella prima delle quattro sezioni si scopre che l’usato ha radici lontanissime. Rammendi e toppe non erano solo negli abiti dei poveri, ma nei guardaroba dei ricchi si tesaurizzavano i pezzi di tessuto. Nella seconda sezione è Prato di scena con l’invenzione della macchina stracciatrice che recupera la fibra dai tessuti usati,appunto dagli stracci.  Nelle altre due sezioni si racconta  gli albori del vintage, con i mercatini dell’usato  scoperti dai giovani della contestazione.Di come gli stilisti, primo fra tutti Saint Laurent,abbiano incominciato a raccogliere dalla strada questi spunti.E infine come abbia preso il sopravvento il fascino dell’usato, dei capi stonewashed,scoloriti,stracciati,invecchiati artificialmente. Cosa peraltro già in voga secoli fa, quando le vere signore richiedevano gli abiti “frappati”, cioè con gli orli delle gonne stracciati, per togliere quella patina volgare di nuovo .
Degli oltre cento capi di abbigliamento e tessuti esposti, molti provengono dagli archivi di grandi case di moda: Ferragamo, Gucci, Pucci, Max Mara ecc. E moltissimi da A.N.G.E.L.O. l’archivio vintage  di Angelo Caroli, quasi sicuramente il primo ad aver individuato, da giovanissimo, negli anni Settanta, l’importanza del riciclo.